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desse la mente. Cercò di riaversi, e lo pregò, singhiozzando, con una voce che le veniva dalle più intime viscere, a voler proseguire la lettura. Werther tremava tutto: pareva che il cuore gli si fendesse: ripigliò i fogli, e lesse con accento commosso:


«Perchè mi ridesti, o dolce auretta di primavera? Tu mi vezzeggi e mi dici: — Io verso su di te le rugiade del cielo. — Ma il tempo del mio avvizzire è vicino, vicina la tempesta che scompiglierà le mie foglie. Verrà domani il viandante che mi vide nella mia bellezza, mi cercherà ne’ campi l’occhio suo, e non mi troverà.»1


La profonda mestizia di queste parole piombò dolorosamente sul-

  1. Vedi la nota a pag. 288.