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ladio sia un edificio quasi a foggia di castello, sopracarico di finestre disuguali, di cui non si riesce a comprendere il motivo, e debbo unicamente conchiudere, che anche qui pur troppo, trovo quanto io fuggo, e quanto io ricerco, l’uno accanto all’altro.


Il 20 Settembre.

Ieri sera sono stato all’opera, la quale durò fin dopo la mezzanotte, ed io non vedevo l’ora di venire a riposare. Tre sultane, ed il loro rapimento dal serraglio fornirono l’argomento di un libretto mediocrissimo. La musica non era cattiva, ma probabilmente di un dilettante; non vi ho trovato un motivo nuovo, il quale mi abbia colpito. Il ballo per contro era bello, e la prima coppia danzante ballò un’alemanna, propriamente graziosa.

Il teatro è bello, nuovo, di aspetto gaio, ornato con parsimonia, e tutto uniforme, quale si conviene ad una città di provincia: ogni palco ha le sue tende dello stesso colore tutte, e quelle sole del palco del Capitano Grande, sono alquanto più ricche.

La prima donna, la quale gode il favore del pubblico, è accolta con applausi ridicolmente esagerati, tutte le volte che compare sulla scena, e tutti quegl’imbecilli vanno fuori di sè per la gioia, ogni qualvolta la diva emette una bella nota, la qual cosa per dir vero, succede abbastanza frequentemente. Quella giovane ha naturalezza, fisionomia graziosa e piacevole, bella voce, contegno poi decentissimo; solo si potrebbe desiderare in lei maggiore grazia nel muovere le braccia. Del resto non tornerò più a vederla, ed a sentirla, che forse finirei per diventare imbecille io pure a mia volta, come tutti quegli altri.


Il 21 Settembre.

Oggi sono stato far visita al dottore Tura; egli si era occupato durante cinque anni con passione di botanica, radunando un erbario, della Flora italica. Coll’appoggio