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Catania, mercoledì 2 Maggio 1787.

Per dir vero nella nostra locanda ci trovammo molto male. I cibi, quali se li potè procurare il nostro mulattiere, non erano punto i migliori. Una gallina cotta nel riso non sarebbe stata da disprezzare, se tutto il piatto non fosse stato tinto in giallo, e profumato con sovrabbondanza di zafferano. Un letto scellerato quasi ci avrebbe costretti ad avere ricorso di bel nuovo al sacco di cuoio di Hackert, e non mancammo al mattino per tempo di porgere le nostre lagnanze al locandiere. Egli si scusò di non averci potuto trattare meglio, indicandoci più sopra nella strada una casa, dove disse che si faceva buona accoglienza ai forastieri, i quali avevano ogni ragione di rimanerne soddisfatti. E difatti ci fece vedere all’angolo della via un casamento grandioso, che dall’apparenza esterna prometteva bene. Ci portammo tosto colà, e vi trovammo un uomo disinvolto il quale ci offrì suoi servigi in qualità di domestico di piazza, e che, nell’assenza del padrone della locanda, pose a nostra disposizione una bella camera, ed inoltre una sala, assicurandoci, che saressimo stati trattati bene, ed a prezzo equo. Domandammo quanto avressimo dovuto pagare per alloggio, colezione, pranzo, vino, servizio; in una parola per tutto? Il prezzo fu ragionevolissimo, e ci affrettammo di far trasportare colà i nostri scarsi bagagli, che allogammo in un ampio e bello armadio, tutto dorato. Kniep trovò per la prima volta, dopo vari giorni, agevolezza a lavorare comodamente; egli cavò fuori suoi disegni, ed io i miei libri, le mie carte. Soddisfatti del nostro stabilimento, ci portammo sul balcone della sala per godere la vista, e dopo averla contemplata a nostro bell’agio ci disponevamo a rientrare nelle stanze per attendere alle nostre occupazioni, quando vedemmo stare penzolone minaccioso sulle nostre teste, un grosso leone d’oro. Ci guardammo fissamente, e poi finimmo per scoppiare dalle risa, volgendo