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quella alla quale siamo avvezzi, volgendo qui talvolta al gialliccio, talvolta ancora all’azurrino. La cosa poi la quale fa maggiormente spiccare il tutto, si è l’atmosfera trasparente dalla quale si trovano circondati tutti quegli oggetti, in guisa che quelli pure i quali si trovano a poca distanza gli uni dagli altri, facilmente si distinguono, immersi tutti in una tinta generale azurrina, la quale in certo modo fa scomparire in parte il loro colore effettivo.

Non si può dire abbastanza, quale aspetto meraviglioso dia quell’atmosfera vaporosa agli oggetti più lontani, bastimenti, capi, promontori, di cui permette comprendere, misurare le distanze, in guisa che una passeggiata in queste alture deve riuscire piacevolissima. Non si direbbe di vedere più oggetti naturali, ma bensì un vero paesaggio, eseguito da un buon pittore.

L’impressione prodotta in me da quel giardino meraviglioso, fu profonda; le onde cupe del mare a settentrione, il loro frangersi sulle spiaggie dei vari seni, l’odore stesso delle acque salse, tutto mi richiamava alla memoria l’isola felice dei Feaci. Mi affrettai di andare fare acquisto di un Omero, rileggendo con vera voluttà quel canto, facendone quindi, a libro aperto, una traduzione a Kniep, il quale, seduto presso un buon bicchiere di vino, aveva tutto il diritto di rifocillarsi dopo l’intenso suo lavoro della giornata.


Palermo, l’8 aprile 1787.
Giorno della Pasqua.

All’alba d’oggi cominciò il chiasso per festeggiare la risurrezione del Signore. Sparate, colpi di schioppo, mortaretti, romori di ogni specie davanti alle chiese, alle cui porte aperte a due battenti, si affollavano i fedeli. Campane, suoni d’organo, canti dei divoti, salmodie del clero, vi era propriamente di che far perdere la testa, a chi non è assuefatto a culto divino cotanto chiassoso.

Non era quasi ancora ultimata la prima messa, quando