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tuttochè mi paia questa mutare di posto, ho fiducia però, di riuscire alla spiaggia.

Quando si parte, il pensiero ricorre involontariamente alle partenze anteriori; si pensa pure all’avvenire, e ciò mi accade questa volta con maggiore intensità di altre, parendomi che ci diamo pure troppa pena per vivere, mentre difatti attualmente, Tischbein ed io volgiamo le spalle a tante rarità, al nostro museo stesso che avevamo iniziato. Stanno in questo tre Giunoni, l’una a fianco dell’altra da paragonare assieme, e partiamo, quasi non ve ne fosse neppure una.


Il 20 Febbraio.
Mercoledì delle Ceneri.

Tutte le pazzie ora sono finite. Gl’innumerevoli moccoletti di ieri sera furono però, per dir vero, spettacolo curioso. È d’uopo aver visto il carnovale a Roma, per essere pienamente liberi dal desiderio di vederlo altra volta. Non è cosa la quale si possa scrivere; narrata a voce potrebbe darsi riuscisse dilettevole. La cosa la quale riesce ingrata in quello, si è che fanno difetto ai più la gioia spontanea; quel tanto di danaro che pure occorrerebbe, per prendersi spasso. I grandi sono economi, si tengono in disparte; il ceto medio è di ristrette fortune; il popolo senza brio, senza vita. Nell’ultimo giorno vi fu un chiasso indescrivile, ma non vera gioia. Il cielo di una purezza e di una splendidezza rara, illuminava, nobile ed innocente, tutte quelle stravaganze.

Dal momento però, che costà non sarà possibile imitarlo, mando per trattenimento dei ragazzi le maschere del carnovale, ed i costumi propri dei Romani disegnati e dipinti, i quali potranno tenere luogo a quei cari piccini di un capitolo, che fa difetto nell’Orbis pictus.