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non vorremo sovrapporvi l’esperta conoscenza e li una sistematica lineare.

Giusta reazione a troppi entusiasmi vedemmo alfine un libello piuttosto frettoloso1 in cui al filisteismo della folla fanatica si opponeva una svalutazione critica non meno filistea. Nè ci fu dato apprender nulla se non la disinvoltura simpaticamente romantica dell’autore, che pretendeva ascoltare a teatro opere di poesia come se nel caso Duse non si chiedesse al teatro per l’appunto la poesia di lei; e come se il sospettare nella Porta chiusa qualcosa di più che la furberia del teatro borghese non fosse già distrazione e peccato di svagata ingenuità.

Il discorso sarà completo e chiaro se l’atteggiamento religioso di Eleonora Duse ci si mostrerà come stato d’animo consolato di solitudine e quasi di chiusa intimità aristocratica. Lascieremo invece a cronisti più vigili il riflettere sulle conseguenze che l’esempio potrebbe produrre, e sul singolare incanto educativo che l’opera della Duse esercitò tra i suoi collaboratori e che stupì anche persone come noi abitualmente scettiche sulla fecondità di tali ammaestramenti.

  1. Alfredo Sartolio, Il ritorno di Eleonora Duse. - Note di un eretico. Roma, 1922. Si cfr. Rasi, La Duse, Firenze, 1901 - Rasi, I comici italiani, cit. vol. II, pp. 810-827. - Bracco, Tra le arti e gli artisti, cit. pp. 25-41.