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88 vittorio alfieri


E quanto inoltri più, più il suol s’impruna:
Arragona, peggior di Catalogna:
Finchè il peggio del pessimo si aduna
Là, dove il bel Madrid non si vergogna
Di metropolizzare in un deserto
Che a fiere albergo dare in vista agogna.
Qui pur già trovo il Gallicùme inserto,
Che dalle vie sbandito ha gli escrementi,
E così scemo assai l’ispano merto.
Che se un lor volto avean le Ibère genti,
Pregio era primo abborrir essi i Galli
E tutti i lor corrotti usi fetenti.
Fatte hai, Madrid, tue vie tersi cristalli:
Ma, sottentrando a’ sterchi i Gallici usi,
Vedrai quanto perdesti in barattalli.
Nè alcun qui me d’esuberanza accusi.
Meglio è ignoranza onestamente intera,
Che del mezzo saper gli atroci abusi.
Già per Toledo e Stremadura io m’era
A passo a passo tratto entro Lisbona,
Che serba ancor sua faccia Arabo-Ibèra.
Qui la molta barbarie si perdona;
Tanta ella assume novitade al fianco,
Che tutta d’usi antigalleschi suona.
E laudato sia il Ciel; che v’ha pur anco
In Europa un cantuccio, ov’è di fede
Che reïtade è l’imitare il Franco.
Torni e l’Ispano e il Portoghese erede
Del navigare e guerreggiar degli avi,
Che grandi fur senza Gallesche scede.
Ma finiamla. Io do volta: e le soavi
Piagge Andaluse di Siviglia e Gade
Fan misurarmi ad oncia i muli ignavi.
Noja e diletto in un provar mi accade,
Assaporando in regïon sì vasta
Sempre beato cielo e inferne strade.
Alle Colonne d’Ercole mi basta
Giunto esser pure. Io retrocedo, e tutta
Quant’ampia è Spagna al mio tornar contrasta.
Affronto allor quella spiacente lutta,
Della ostinata pazïenza al fonte
Bevendo sì, che nulla or mi ributta.
Già la Moresca Cordova ho da fronte:
Poi del terrestre suo bel paradiso
Mi fa Valenza le delizie conte.