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56 vittorio alfieri


Qui dunque il sozzo tuo natal si debbe
Anco esplorar, o mio Giovanni, in prova,
Ch’ogni tuo vizio il vil natal ti accrebbe.
L’arte, ch’ozio e menzogna e fraude cova
Più ch’altra; l’arte rea del Tavernajo
Facea ’l tuo padre; e il rammentartel giova.
Fallito indi, e spolpato, e senza saio,
Perchè rodea più assai ch’ei non furava,
Nello spedal finiva ogni suo guaio.
La impudica tua madre ti educava
Al remo allor, col picciol lucro infame
Ond’ella le tue suore trafficava.
Quest’era il latte, che tue membra grame
Nutricava primiero; ognor cresciuto
Tra disonesti esempli in prave brame.
Orfano poscia e adulto divenuto,
Dotto in null’altro che uncinar le dita,
Sguattero entravi e tosto al Cuoco aiuto.
Ma già il tuo cuor magnanimo s’irrita
Del ladroncello, essendo nato al ladro;
E a trarti dalla broda alto t’invita.
Uom non sei da trovar nel tondo il quadro:
Ma squattrinare in cifre utili zeri,
Quest’è il tuo ingegno, s’io pur ben lo squadro.
Di un Pubblicano eccoti al soldo: interi
Tornare i rotti conteggiando apprendi;
Arte, onde van gl’imbratta-carte alteri.
Già di Sensale al magistero ascendi;
Affari già di più migliaja fai;
Già sei vie puro più, quanto più prendi.
Del tuo Banco in sul trono assiso omai,
Al De-Giovanni anco il Signor s’è aggiunto:
E ritto e duro, qual pien sacco, stai.
Arricchito in buon secolo e in buon punto,
Fra stromenti di regno anche avrai loco,
Tanto è lo Stato di pecunia smunto.
Degli imprestiti audaci il lento fuoco
Va l’impero e gli stolti attenüando;
Ma tu del comun danno a te fai giuoco.
A crepa pancia eccoti pingue: in bando
Ogni vergogna; entro ai be’ lucri indora
Il fetor del tuo nascere nefando.
Più non è ver, che il Nonno tuo s’ignora,
Non che da tutti, dal tuo padre istesso
Che gl’innocenti di sua culla onora: