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satire 53


Men delitto il portar pistóle corte,
Che non portargli la semestre mancia,
Che al par ricompra e i giusti e i rei da morte.
Non è da rider questo. Altri la guancia
Rigò già invan di sanguinoso pianto,
Perchè la costui possa ei stimò ciancia.
Fabro egli è di calunnie audace tanto,
Che ad ingannar di un Re tremante il senno
Ne avanza: indi egli ha d’assai stragi il vanto.
Pochi son quei, che paventar nol denno;
I più tristi di lui. Più eccelsi impieghi
Altri han; ma niun, quant’egli, ha il regio cenno.
Or l’arcano il più fetido si spieghi;
Come a vil donna, del postribol feccia,
D’arti e in un di prosapia ei si colleghi.
Falso un ramo innestandosi, ei fa breccia
Nel ceppo avìto; e ver ben può parere,
Sì ben lordura a nobiltà si intreccia.
Di costei la bellezza un Cameriere
Di Su’ Eccellenza usufruttava primo;
Poi lasciavala in preda al rio mestiere.
Ritrovatala poscia un dì nel limo,
La rimpannuccia, e se la toglie in casa,
Essendo anch’egli allor di spoglie opimo.
Sua Eccellenza la vede, e se n’invasa:
Riverginata il Camerier l’ha tosto;
Cugina gli è, trista orfana rimasa.
Averla vuol Sejano ad ogni costo:
Quindi, avutala e sazio, ei l’addottrina
A regie cose, ov’ha il lacciuol disposto.
Al Re venuta è a noja la Regina
Sì fattamente, ch’altro ardor fa d’uopo
Dal regio letto a dileguar la brina.
Taide e il mio Grande han mira a un solo scopo:
Onde il buon Re, colto il bel fiore a stento,
Colto è fra loro, qual fra gatti il topo.
Altro Grande vien fuori, eletto in cento,
Cui Taide in sposa si concede, a patto
Ch’egli usar non si attenti il sagramento.
Ma il Re, per più accertarsen, ratto ratto
Una Provincia a dispogliar lo invia,
Vedovo e sposo ed Atteòne a un tratto.
Quest’è il gran mezzo, che il mio Grande india
Su i Grandi tutti, e Re di fatti il posa,
Triplicator d’autorità già ria.