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epigrammi 31


Lettor, ben ben qui l’intelletto aguzza;
E compitando, come il festi a scuola,
In questa mia parola
L’invenzïone altrui sublime e sola
Ammira; e, in bando omai la invidïuzza,
Impáravi una tal forma di Stato,
Cui non conobbe nè Solon, nè Plato,
Ch’io battezzai Reapublicocuzza.


CI.

......... 1798.

Mista coll’irto crin, del crin più sconcia,
Scendente a mezza guancia
Una risibil barba:
Fosco un ceffo di Jarba:
Torv’occhio, che di sotto in su si slancia
In chi lo sfugge, audace,
Da chi ’l fissa, fugace:
Due corna immense di un cappel birresco,
Sotto cui ben si acconcia
La ignobil fronte, con le ottuse corna
Del minacciar schiavesco:
Un guancialon che imprigiona la strozza,
E serbandola al laccio in un l’adorna: —
Qui piglio fiato; e rifiorir mi piace
Un po’ mia tavolozza.
Mani sporche, ugne sporche, abito sporco,
Cintovi sopra un grave strascicante
Sciabolone spaccante
Giù giù la terra, a far finestre all’Orco:
Tutto il resto è calzoni;
Nascenti in cima in cima a una vil pancia;
Morenti, ai pedignoni:
Scarpe, ei non l’ha di suo, ma le conquista
Pur che il Diavol l’assista. —
Chi mi dà un soldo, o due quattrin di manci
Ei l’avrà strapagata
Questa effigie sputata
D’un paladin repubblican di Francia.