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il misogallo 177


Vil scelleranza, a cui licenza arride,
Tutto l’altrui fa suo; gli schiavi ha sciolti;
Liberi, e buoni in duri ceppi ha colti;
Odia i Tiranni, e Libertade uccide:
Sospende sovra ogni non empia testa
Infra scherni servili, a debil crine
La stanca scure, e di troncar non resta. —
Non torran perciò a me libero il fine,
Nè i Re plebei, sozza genìa funesta,
Nè i veri Re, nè le infernali Erine.1


SONETTO XXXV.

6 febbraio 1795.

D’ispido turpe verro aspro grugnito
Orribilmente mordemi l’orecchio,
In fra Pinti, e San Gallo, ov’io da vecchio2
Cercando il Sol passeggio intirizzito.
Pure, a turarmi il flagellato udito
Io qui molto men ratto mi apparecchio,
Di quel ch’io fea con cera, o con capecchio
Quando fra i Galli stavami assordito.
Di strette nari uscente un muto urlìo
Mi perseguìa per tutto a Senna in riva,
Laudare udissi o bestemmiare Iddio.
Chiesa, e teatro, ed assemblea feriva
Spietatamente il miglior senso mio,
Sì che il dì mille volte io là moriva. —
Deh, tu, d’Averno Diva,
Fammi udir poi nel lagrimevol Orco,
Pria che Galla Sirena, Etrusco porco!



  1. Ella è veramente tra tutte le impudenze la più stupida, quella di costoro; che, obbedendo, e tremando, e servendo ad un Robespierre, ardiscono parlar di tirannide, e promulgare l’odio contro i tiranni: e si vede, che tanto conoscono i nomi, quanto le cose.
  2. Pinti, e san Gallo, sono due porte di Firenze verso tramontana. A quella di Pinti si pesano i majali vivi, che con urli orribili si mostrano recalcitranti al pagare l’introito loro al Principe, ed in questo assai men docili, e di più libero animo, i porci, che non sono i Francesi; poichè questi, senza dir molto, pagano alla loro Convenzione, ed imposizioni tiranniche, ed imprestiti sforzati, ed ogni loro avere, ad arbitrio assoluto del Sovrano, che non perde neppure il tempo a pesarli.


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