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tivano per questo scopo e non unicamente come mezzo di coltura e di educazione. «Torniamo ai campi, innamoriamo dei campi le generazioni novelle» disse saggiamente il compianto ministro Guido Baccelli, perchè l’agricoltura è la fonte inesauribile della ricchezza nazionale; ed io aggiungo: — Innamoriamo anche i nostri figli dell’industria e del commercio e facciamo loro comprendere che le professioni dell’agricoltore, dell’industriante e del commerciante non sono meno nobili e meno utili di quelle del medico, dell’avvocato, dell’ingegnere, del professore, ecc., e che sono anche molto più lucrative.

Sono troppi, ripeto, gli uomini spostati dagli studî e non è utile che ad essi si aggiungano le donne.

Ora quasi tutte le giovani che studiano vogliono diventar maestre e professoresse; come potranno tutte trovar posto? Già non son poche le maestre disoccupate, nonostante che si sia loro permesso d’insegnare anche nelle scuole maschili di qualunque classe, ciò che, secondo me, può essere causa di grave pericolo sociale, non essendo la donna adatta a dare quell’educazione virile, patriottica e nazionale che desideriamo pei nostri figli fin dalla scuola elementare inferiore;1 eppure la produzione annuale delle maestre aumenta tempre più e supera di gran lunga il numero di quelle che lasciano l’insegnamento e il numero delle nuove scuole necessarie.

Nè è piccolo il numero delle professoresse disoccupate, delle quali molte si rassegnano a far le mae-

  1. Veggasi sulla questione delle scuole maschili affidate a maestre il mio libro L’abitudine nell’educazione, già citato.