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14 Il Diavolo


signori, che in testimonio della forza e della potenza della loro famiglia l’avevano scelta per impresa.

Il contadino mise la chiave nella toppa, prese la campanella a sinistra, la tirò a sè e col ginocchio pigiò l’altra imposta. L’uscio si apri cigolando, ed entrammo.

L’aria tetra del grande stanzone faceva uno strano contrasto coll’azzurro del cielo e colle balze, dorate dal sole, che si vedevano dalle due finestre aperte nella parete di faccia all’entratura, le quali finestre come due quadri luminosi spiccavano sul fondo scuro. Il pavimento era tutto sconnesso, mancavano dei mattoni interi; il soffitto di cipresso alla veneziana era diventato quasi nero per l’antichità. Nelle due pareti laterali due porte senza imposte, ma coi pietrami dalle eleganti modinature; a sinistra un monte di fieno, nel quale, a star fermi un momento, si sentivano razzolare i topi; accosto ai muri gli avanzi tarlati di cinque o sei seggioloni, coperti di cuoio rosso stampato a dorature, del quale appena qualche brandello accartocciato rimaneva trattenuto dai grossi bullettoni: appese alle pareti alcune cornici sconquassate e polverose con certi pezzi di cencio nero, ultimo avanzo di ritratti. L’insieme di quella stanza era lugubre. Il vecchio Pippo era accosto a me colle mani sui fianchi.