Pagina:Gioberti - Del rinnovamento civile d'Italia, vol. 3, 1912 - BEIC 1833665.djvu/303

La qual fierezza non è superbia, come alcuni credono: poiché, anche quando si riferisce all’individuo, essa si fonda nel rispetto verso l’uomo e la natura umana in generale e nel senso vivo dell’uguaglianza nativa e civile; onde non regna se non presso quelle genti in cui l’istinto di essa uguaglianza è radicato e gagliardo. Laddove la superbia si ferma nell’individuo e lo sequestra dagli altri; onde essa non cerca l’onore ma gli onori, non la dignitá ma le dignitá particolari, e quindi ama le distinzioni, i privilegi, i gradi, i nastri, le divise, per cui un uomo si differenzia dagli altri uomini. E però non di rado si accoppia coll’avvilimento civile, come si vede in quei patrizi e cortigiani degli Stati dispotici, che, mentre reputano, verbigrazia, «il vendere cosa piú ridicola che il comperare» (0 e vilipendono le arti meccaniche, stimano cosa nobile l’inginocchiarsi e condiscendere a tutte le voglie e ai capricci di un signore, purché in contraccambio ne sieno abilitati a schiacciare impunemente i cittadini. L’onore non è cosa vana né ingiusta, come i privilegi nominali o lesivi della paritá civile, essendo un bene accessibile a ciascuno e fondamento di tutti gli altri; e in politica è di tal rilievo che per molti rispetti piú importa dell’oro e degli eserciti. Onde gli uomini insigni di Stato (come il Richelieu, Arrigo quarto, Oliviero Cromwell, Guglielmo Pitt) ne sono gelosi e solleciti oltre modo. Ma questa qualitá non è frequente nelle nazioni moderne; e se in una delle piú illustri e potenti dopo Casimiro Perier non se n’è veduto alcun segno, qual meraviglia che nell’Italia, serva, inferma, divisa, ne manchi ogni vestigio da molti secoli? I nostri repubblicani del medio evo la conoscevano e la praticavano poco meglio dei puritani odierni; i quali hanno tal senso e concetto della dignitá cittadina, che antipongono la servitú sotto i barbari alla libertá con un principe italico. Si può immaginare un contegno piú vile di quello dei veneziani dopo la sconfitta di Ghiaradadda? o un parlare piú abbietto di quello dei vicentini al principe di Anault (l’Haynau di quei tempi), e

(1) Manzoni, / promessi sposi, 4.