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La sapienza degli antichi è unanime su questo punto, e si trova riepilogata da Orazio in questi bellissimi versi, che sarebbe temeritá il tradurre:


                                              Vis consilii expers mole ruit sua:
vim temperatam di quoque provehunt
in maius: iidem odere vires
omne nefas animo moventes
1.
     


E che altro può temperarla fuor che il connubio dell’ingegno? Però quanto gli antichi erano teneri dell’ugualitá civile, tanto erano nemici di quel livellamento che disconosce le disparitá naturali e le offende nella partizione degli onori e delle cariche. Gli uomini savi poco amavano la tratta a sorte2, e insegnavano che la distribuzione degli uffici dovea farsi a ragion figurale anzi che numerica3. «Licurgo — dice Plutarco — cacciò di Sparta la proporzione arimmetica come popolare e turbulenta, e v’introdusse la proporzione geometrica... E questa è la proporzione che applica Iddio alle cose umane..., cognominata ‛equitá’ e ‛giustizia’; la qual proporzione c’insegna che conviene far la giustizia eguale, e non l’egualitá giusta. Perché quella egualitá, che oggi è cercata da tutto il mondo, è la piú grande ingiustizia che sia, e però Iddio l’ha levata dal mondo in quel modo che si poteva, e mantiene la dignitá e il merito secondo l’ordine di geometria, determinando secondo la ragione e la buona legge»4. Consuonano i principi della scuola italica. Dante dice che il diritto è «la proporzione reale e personale dell’uomo»5; definizione al tutto pitagorica. E attribuisce con Aristotile la sovranitá all’ingegno6, disdicendola espressamente al volgo. «Dell’abito


  1. Od., iii, 4.
  2. Isocr., Orat. areop. — «...sorte et urna mores non discerni» (Tac., Hist., iv. 7).
  3. Intorno alle due ragioni vedi Aristotile, Polit., viii, i, 7.
  4. Disp. sympos., iii), 2 (traduzione dell’Adriani).
  5. De mon., 2.
  6. «È manifesto quello che nella Politica di Aristotile si dice: che quegli uomini, che sopra gli altri hanno vigore d’intelletto, sono degli altri per natura signori» (ibid., i).