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ebbi a sperimentare l’ingratitudine delle fazioni non ho perduto e tuttavia conservo l’amore de’ miei cittadini.

Da questi trascorsi piccolo è il passo all’ingiustizia, e a quella massimamente che piú offende gli Stati, che è il culto dei mediocri sostituito alla stima dei valorosi. Vizio antico in Piemonte e notato dal Botta, non sospetto in cotal materia; il quale impresse una nota di riso indelebile sul nome del Bogino, chiamando «castaldo e massaio» un uomo che i coetanei esaltavano come un solenne ministro1. Perciò a buon diritto il Leopardi, parlando dell’Alfieri, mordeva la «mediocritá» di quei tempi, che sotto «nome di follia il grande e il raro vituperavano»2. Ed esso Alfieri gridava: «Lagrime di dolore e di rabbia mi scaturivano del vedermi nato in Piemonte ed in tempi e governi ove niuna altra cosa non si poteva né fare né dire, cd inutilmente appena forse ella si poteva sentire e pensare»3. Né egli prendeva inganno, poiché vivo e morto non ebbe da’ suoi provinciali quella gloria che meritava. In Torino cominciò il suo «disinganno», e si fe’ capace che «non v’era da sperare né da ottenere quella lode che discerne ed inanima, né quel biasimo che insegna a far meglio»4. Non solo fu costretto a esulare, ma, disceso giá nel sepolcro, i piemontesi furono gli ultimi ad apprezzare la sua unica grandezza. E mentre un Falletti di Barolo suo provinciale ne facea strazio, i francesi rendevano il primo omaggio all’autore del Misogallo, chiamando una via torinese dal suo nome, raso pochi anni dopo dai principi ripatriati. Sia lode agli astensi e al municipio torinese che oggi



  1. Storia d’Italia continuata da quella del Guicciardini, 48.
  2. Opere, t. i, p. i9. È il riscontro del detto di Tacito che «virtutes iisdem temporibus optime aestimantur, quibus facillime gignuntur» (Agr., i). Il Leopardi scrisse in greco che «nelle faccende umane gli sciocchi sovreggiano agli assennati»; «sentenza — dice l’egregio Pietro Pellegrini — che è ancora piú italiana che greca» (Leopardi, Opere, t. iii, p. 3i7). Gasparo Gozzi diceva de’ suoi tempi: «Oggidí è meglio essere civetta che aquila. Parlo come Baruc. A spiegarla piú schietta, gli allocchi hanno buona fortuna: i meritevoli trovano mille intoppi» (Opere, t. xvi, p. 224).
  3. Vita, iii, 7.
  4. Ibid. iv, i3.