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libro secondo - capitolo quarto 337


l’Italia si affida indarno di esser franco egli medesimo e sicuro. Ma ciò che allora si trascurò potrá di nuovo tentarsi nel detto caso, e con qualche speranza, purché alle scritte, alle rimostranze, ai memoriali corrispondano gli oratori. La vecchia politica che si appuntellava all’astuzia e alla forza, siccome riponea questa negli eserciti servili, cosi collocava quella nei legati frodolenti che si facean giuoco delle nazioni e della giustizia; onde nacque lo scredito dei diplomatici, che ancor dura e rende talvolta l’opinione ingiusta verso i meriti reali degl’individui1. E anche quando tal classe era men finta e gesuitica che non fu a Vienna, dove si fece il gran mercato delle nazioni, essa era vana, costosa, frivola, aliena da quella semplicitá parca e severa, da quella lealtá specchiata, che si addicono a chi esprime non i capricci dei potenti ma i diritti e gl’interessi dei popoli. Sarebbe degno del Piemonte il precorrere anche da questo canto il portato inevitabile della civiltá e del tempo, recando nelle legazioni le riforme richieste a renderle democratiche e nazionali; imperocché i messaggi degli Stati liberi, benché inviati del principe, sono interpreti eziandio del popolo, e non possono dar fiducia né a chi li manda né a chi li riceve se non sono conformi di genio e divoti di cuore agli ordini che rappresentano.

Ma se il Piemonte dee nel caso soprascritto ingegnarsi a suo potere di ritirare i principi connazionali agli ordini liberi, dee forse egualmente invitarli a lega politica o accettarla? No, perché una lega stabile presuppone stabilitá in coloro che la contraggono, e per le ragioni dette le monarchie della bassa Italia non possono promettersi lunga vita. I vincoli federativi da un lato non darebbero loro maggior fermezza, dall’altro nocerebbero al Piemonte, inceppando la libertá de’ suoi moti, partecipandogli l’odiositá dei carichi alieni e togliendogli il modo di prevalersi e operare a proposito nelle subite occasioni. Per




V. Gioberti, Del rinnovamento civile dell'Italia - ii.

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  1. Io mi credo in obbligo di rendere questa pubblica testimonianza ai residenti dei vari Stati coi quali ebbi a trattare durante la mia amministrazione, che tutti (da quello di Napoli in fuori) mi diedero non finte prove del loro affetto per la causa italiana, e alcuni di essi caldamente l’aiutarono.