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maneggi di conto sono premio dei raggiri e toccano agl’ indegni, s’incorre in due gravi inconvenienti: l’uno, che lo Stato ne soffre, privandosi della capacitá dei migliori; l’altro, che i piú di questi si convertono in nemici. Imperocché gran virtú si ricerca a impedir che la giusta indegnazione non prorompa a vendetta; e i Focioni1, i Catoni, gli Aristidi sono assai piú rari degli Alcibiadi e dei Coriolani. Né i riguardi dovuti al merito singolare debbono far dimenticare i piú; perché, come avverte Cicerone, alcuni governanti si professano amatori del popolo, altri degli ottimi, ma pochi son quelli che di tutti abbiano cura2. Né basta ancora l’esaltare i valenti se non si lascia loro facoltá libera di operare; cosa che mal consuona al costume dei principi memori dell’assoluto, per modo che nei tempi forti gioverebbe allo Stato regio il poterlo sospendere. Laonde io reputo felici Luigi Kossuth e Daniele Manin, ai quali, se non fu dato di redimer la patria, non venne almeno conteso di gloriarla nella sventura; e vo pensando che avrebbero potuto fare, se fossero stati sudditi a Carlo Alberto o al regnante pontefice.

Il vizio che giustamente si biasima nelle monarchie civili sotto il nome di «governo personale» non legittima però l’eccesso contrario, che io chiamerei «anarchia regia». Il trono non è un trastullo ma un servizio; e dovendo il principe elegger uomini idonei a fare il comun bene e reggere in modo conforme all’opinione pubblica, questo solo debito richiede molte cure e un gran capitale di cognizioni. Chi è ignorante vien facilmente ingannato dagl’ignoranti e non è atto a distinguere la vera perizia dall’apparente. Studiar gli uomini e i tempi, innalzare i valorosi, sopravvegliarne gli andamenti, sostenerli contro l’invidia di corte e il mal animo delle sètte, sterminare i prevaricatori, e fare insomma che la mente dei savi e non la voglia dei faziosi indirizzi la cosa pubblica, sono carichi non



  1. Focione morendo pregava che i suoi «dimenticassero le ingiurie fattegli dagli ateniensi» (Plut., Phoc., 26).
  2. «Qui... parti civium consulunt, partem negligunt, rem perniciosissimam in civitatem inducunt, seditionem atque discordiam: ex quo evenit ut alii populares, alii studiosi optimi cuiusque videantur, pauci universorum» {De off., i, 25).