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quanto la diffusione e la cura della fede, richiedendosi a tutelarla e promuoverla. Imperocché l’insegnamento ecclesiastico versa in due cose: la dottrina e l’esempio. La dottrina consiste non solo nella predicazione del vero ma nella sua difesa, che è quanto dire nel combattere gli errori che gli contrastano la signoria degli animi e delle menti. Né la pugna contro l’errore può aver buon successo, se non è accompagnata da una scienza corrispondente ai bisogni e alla cultura del secolo. Ma la scienza cristiana che oggi regna nelle scuole è lontanissima da tali condizioni, e piú vale a moltiplicare gli scredenti che a convertirli, come quella che è troppo sproporzionata all’etá presente. Dal che nasce l’urgenza di una riforma fondamentale negli studi ecclesiastici. Non men necessaria è l’opera riformatrice nelle instituzioni pratiche, affinché alla morale insegnata consuoni l’esempio, senza il cui concorso vana e sterile è la parola. Ma la smania di conservare il temporale osta a tali mutazioni, sia col togliere il tempo e le cure che si richieggono a darvi opera, sia col far giustamente temere che, migliorata l’ instruzione e la pratica negli ordini spirituali, gli abusi dell’altra specie non debbano aver fine. La smania del temporale rende cari e utili i gesuiti, i quali odiano il sapere come un bene che non posseggono, confondono ad arte il dogma colle opinioni invecchiate (giovandosi di tal mescolanza a porre in discredito i loro avversari), abboniscono ogni libertá di spirito anco nei termini piú cattolici e amano gli abusi perché in essi ha radice la loro potenza; tanto che ogni riforma è impossibile finché dura il loro regno.

Il cardinale e gesuita Sforza Pallavicino reca come un privilegio divino e una nota infallibile della Chiesa romana «la sapienza unita alla probitá dei seguaci», ond’ella viene a comprendere in ogni tempo «i piú dotti e i piú santi uomini che abbiano servito a Dio»1 Or quale è oggi la dottrina di Roma? dove il sapere è piú scarso? dove manco si studia? dove si è meno atto non dico a ribattere ma a capire gli errori speciosi e i



  1. Perf. crist., i, {Sc|i}}7.