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un regno perpetuo di Dio sopra la terra. Ma questa bella economia si altera, se i due ordini si confondono insieme, se i laici vogliono amministrare il cristianesimo in quanto è Chiesa e culto, o i chierici timoneggiarlo in quanto è Stato e incivilimento. Solo nel medio evo la seconda mistione fu scusabile perché necessaria, atteso l’indole propria delle origini e la maggioria

che esse conferiscono naturalmente al ceto ieratico. Il far oggi altrettanto è un ricondurre le cose all’imperfezione del loro nascimento, anzi un ritirare il cristianesimo allo stato giudaico e paganico. sostituendo un chiliasmo vizioso al vero millenio. Non altrimenti discorrevano gli apostoli tuttavia carnali, quando frantendevano la promessa dei troni, e la loro cupidigia avea per interprete la moglie di Zebedeo1. La confusione della politica colla religione e del temporale collo spirituale è l’essenza intima del farisaismo, di cui i gesuiti sono rinnovatori; e siccome questa mischianza ha il suo colmo nell’ imperiato ecclesiastico, giá Dante chiamava Roma per tal riguardo «la capitale dei principi farisei»2. Ogni appartenenza di sovranitá temporale, ancorché buona e legittima in se stessa, tende a snaturare lo spirituale e a corromperlo. Lo Stato dee, per esempio, esser ricco; ma le ricchezze corrompono il clero e partorirono gli scismi di Germania e d’Inghilterra. «I santi padri — grida l’Alighieri — intendevano a Dio come al vero fine, ma oggi i prelati intendono a conseguir censi e benefizi»3. Si comincia col buon proposito di arricchire il pubblico erario; ma trattando i danari, la cupidigia si desta e si finisce col procurare principalmente il proprio utile. Lo Stato ha d’uopo di maestá e di pompa; ma i palagi, gli arredi, le livree, i cavalli, le comitive si disdicono alla semplicitá evangelica, rendono immagine di un orgoglio profano e infettano i costumi, traendosi dietro le delizie. Se le corti corrompono i principi del mondo, quanto piú quelli della Chiesa? Il celibato dei chierici, scompagnato dalla modestia, dalla



  1. Matth., xx, 20-27.
  2. Epist., iv, i.
  3. Ibid., 7, 8, 9.