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278 del rinnovamento civile d’italia


Chi voglia far ragguaglio dell’antico col nuovo, oda il Sacchetti. «Lascerò stare Roma che signoreggiò tutto l’universo ed ora quello che tiene, e quali furono i cittadini suoi e quali sono oggi: ogni cosa è volta di sotto e attuffata nella mota»1. Non è un cordoglio a vedere una schiatta dotata di facoltá pellegrine e rarissime avvilita e degenerata? «La massima parte della popolazione di Roma — dice il Leopardi — vive d’intrigo, d’impostura e d’inganno»2, secondo l’uso dei popoli servi ed oziosi. L’operositá, che è lo stimolo piú efficace dell’ ingegno e la guardia migliore dei costumi, non può aver luogo senza buona educazione e libertá. Quando manca l’attivitá civile, i ricchi e i poveri si corrompono egualmente: gli uni colle delizie e l’ignavia, gli altri col l’accatta re, colle viltá e coi delitti. «Debbe un principe — dice il Machiavelli — mostrarsi amatore della virtú ed onorare gli eccellenti in ciascuna arte. Debbe animare i suoi cittadini di poter quietamente esercitare gli esercizi loro e nella mercanzia e nella agricoltura ed in ogni altro esercizio degli uomini, acciocché quello non si astenga di ornare le sue possessioni per timore che le non gli siano tolte, e quell’altro di aprire un traffico per paura delle taglie; ma deve preparare premi a chi vuol fare queste cose ed a qualunque pensa in qualunque modo di ampliare la sua cittá o il suo Stato»3. 11 governo ecclesiastico fa tutto il contrario, e non che acuire e incoraggiare gl’ingegni, promuovere le imprese utili, toglie loro il principal fondamento, che è la fiducia pubblica e la sicurezza; onde la sua borsa non ha credito, i privilegi e le promesse non hanno peso. Egli mantiene e protegge studiosamente due sole arti, cioè la spiagione ed il lotto, abbominato dalle nazioni piú civili, servendosi dell’una per avvilire ed opprimere, dell’altro per mungere e sviscerare i cittadini. Per supplire alla morale privata e pubblica abusa la religione, convertendo i suoi precetti



  1. Nov., i93.
  2. Epistolario, Firenze, i849, t. i, p. 278. Vedi anche ciò che dice lo stesso autore intorno alla frivolezza e ignoranza dei prelati, alla corruttela della capitale e delle provincie (ibid., pp. 220, 243, 247, 248, 249, 250, 252, 253, 266).
  3. Princ., 2i.