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capitolo decimoquarto 125


versandosi nel favore come nel suo contrario con pari intemperanza 1. I liberali di municipio lo levarono alle stelle quando diede le riforme e lo statuto, atteso che questo e quelle per piu rispetti loro gradivano e per niun verso gl’ingelosivano; ma la guerra lombarda, il regno dell’alta Italia, l’egemonia subalpina, il timore di perdere la capitale, il dover dare tesori e uomini pel riscatto comune cominciarono a freddar l’entusiasmo, e i primi disastri lo spensero. Durante il tempo che si agitò la mediazione essi gareggiavano coi retrivi piú arrabbiati nel levare i pezzi dell’infelice principe, il quale lo sapeva e mel disse piú volte. Piú scusabili a dolersene sarebbero stati dopo il fatto di Novara e la rinunzia (calamitá causate da colpevole elezione), se quei medesimi che allora piú facevano a straziarlo, sino a dire che fosse la principal ruina d’Italia (e io fui parecchie volte testimonio di tali querele), poco tempo dopo, mutando tenore, non avessero preso a pubblicarne le maraviglie2;


                               poiché, nefando stile
di schiatta ignava e finta,
virtú viva sprezziam, lodiamo estinta3.
     


Piú giustificati sono gli encomi dati al prode e sventurato principe dai democratici, i quali ne avevano detto bene anche quando gli altri lo malmenavano. La pietá sincera di tanto infortunio, l’ammirazione della morte rassegnata ed intrepida, la gratitudine ai benefizi di cui fu autore, l’amor della causa per cui combatte e peri, il nobile intento di fare con tale omaggio una spezie di protesta contro l’Austria e il Mazzini, unanimi nell’odiarlo e nel calunniarlo, e di lanciare un biasimo obliquo ai principi fedifragi dell’Italia inferiore, spiegano e discolpano



  1. «....est vulgus utroque immodicum» (Hist., ii, 29). «...ut est mos vulgo mutabili subilis, et tam prono in misericordiam quam immodicum saevitia fuerat» (ibid., i, 09). «... quae [adulatio] moribus corruptis per inde anceps, si nulla , et ubi nimia est» {(Ann.., iv, i7).
  2. «... tradito more, quemcumque principem adulandi, licentia adclamationum et studiis inanibus» (Tac., Hist., i, 32),
  3. Leopardi, Opere, t. i, pp. 20, 2i.