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libro primo - capitolo sesto 127


piú lungi di una spanna, procedono a rovescio e si governano coi due seguenti aforismi. L’uno che «il buon assetto politico degli Stati, la felicitá dei popoli e la sicurezza dei governi non dipendono dalle considerazioni geografiche e dall’essere nazionale di quelli». Abbiamo veduto che questo principio fu la base della politica di Napoleone e di quella dei potentati raccolti nel congresso viennese. L’altro aforismo, conseguenza del primo, si è che «ogni Stato, ogni popolo, ogni nazione dee ristringersi in se medesima, attendere solamente alle cose proprie e non inframmettersi delle nazionalitá aliene per restituirle o difenderle, ma solo talvolta per affogarle». Da piú secoli, ma specialmente dai sette ultimi lustri, gli Stati europei furono osservantissimi (salvo alcuni pochi casi) di questa regola, la quale non è talmente propria dei conservatori che non abbia talvolta anco il plauso dei democratici. Essa colloca nell’egoismo nazionale e statuale la norma suprema del reggimento e, come tutte le regole prevaricatrici dell’onesto, cuopre sotto specie di utile gravissimi pregiudizi. E colorandosi coi pietosi pretesti di provvedere alla quiete e alla pace, semina dalla lunga una ricca mèsse di rivoluzioni e di guerre; dove che la violazione delle nazionalitá sarebbe facile ad antivenire ne’ suoi princípi colla vigilanza e colle pratiche, mostrando solo il ferro e senza trarlo della guaina. Io però non intendo di discorrere come moralista, ma sí bene come politico e di chiarire quanto la detta massima sia dannosa agli Stati che la mettono in pratica.

Cominciamo a notare che l’egoismo civile contrasta a una legge naturale e sovrana, cioè alla sociabilitá, mediante la quale tutto il genere umano fa un solo corpo e, a malgrado delle divisioni di cittá, di Stato, di lingua, di stirpe, di nazione, dee convivere come una sola famiglia. Il segregamento si oppone a questa legge e nuoce per conseguenza alla civiltá umana, giacché la conservazione e il progresso, che sono, come dire, i due poli di essa, abbisognano dell’unione reciproca. La barbarie è disunione delle genti e dei popoli, come lo stato selvatico e ferino (che è la cima del barbarico) è sparpagliamento degl’individui. Senza il vario ed assiduo concorso di molti