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dell'impero romano cap. lxvii. 43

impadronitisi di questo paese, ma la pratica superstiziosa de’ giannizzeri che portavano le ossa di Scanderbeg incastrate, a guisa di reliquia, ne’ lor braccialetti, era una tacita confessione del rispetto in cui tenevano il suo valore; anche la rovina dell’Albania che seguì immediatamente dopo la morte di Scanderbeg, è per esso un monumento di gloria: ma, se avesse giudiziosamente bilanciate le conseguenze della sommessione e della resistenza, un più generoso amante della sua patria rinunziava forse ad una lotta ineguale, il cui successo dalla vita e dalla morte di un uomo sol dependea. Probabilmente lo confortò la speranza, ragionevole benchè illusoria, che il Pontefice, il Re di Napoli e la Repubblica di Venezia si unirebbero in difesa di un popolo libero e cattolico, vero guardiano delle coste del mare Adriatico e dell’angusto intervallo che disgiunge dalla Italia la Grecia. Il figlio di Scanderbeg, ancora fanciullo, fu salvato dal disastro che il minacciava: i Castriotti1 ottennero un Ducato nel Regno di Napoli, e il loro sangue si è trasfuso fino ai dì nostri nelle più ragguardevoli famiglie di questo Reame. Una colonia di fuggitivi albanesi ottenne possedimenti nella Calabria, ove conservano tuttavia la lingua e i costumi de’ lor maggiori2.

    13; 1467, n. 1). Le lettere che lo stesso Scanderbeg scriveva al Papa e la testimonianza di Franza, riparatosi a Corfù, vicino al luogo dell’asilo sceltosi dall’Albanese, ne dimostrano le angustie cui si vide questi ridotto, angustie che Marino cerca palliare con poco garbo (l. X).

  1. V. intorno alla famiglia de’ Castriotti il Ducange (Fam. Dalmat., XVIII, p. 548-550).
  2. Colonia d’Albanesi citata dal sig. Swinburne nel suo viaggio alle Due Sicilie (vol. I, p. 350-354).