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dell'impero romano cap. lxx. 229

desse in sicuro nel suo Castello di Palestrina, ove in appresso rampognò sè medesimo di poca antiveggenza, per non avere spenta la prima scintilla di un sì formidabile incendio. Dal Campidoglio emanò una intimazione generale e perentoria a tutti i Nobili, perchè si ritirassero tranquillamente ne’ loro dominj; questi obbedirono, e la loro partenza assicurò la tranquillità di Roma, che sol cittadini liberi, ed obbedienti al nuovo ordine di cose, omai racchiudea.

Ma una sommessione volontaria coi primi trasporti dell’entusiasmo dileguasi, onde il Rienzi conobbe quanto gli rilevasse giustificare la sua usurpazione col darle forme regolari, e mediante un titolo legale sancirla. Dipendea dalla sua volontà che il popolo grato, ed ebbro del riacquistato uso del potere, accumulasse sopra di lui i titoli di Senatore e di Console, d’Imperatore e di Re; ma preferì l’antico e modesto nome di tribuno; sacro titolo del quale la protezione delle Comuni formava l’essenza: quell’ignorante plebe poi non sapea che il tribunato non avea mai conferito il diritto di partecipare al potere legislativo, o esecutivo della Repubblica. Col nome pertanto di tribuno, il Rienzi, acconsentendo i Romani, pubblicò salutarissimi regolamenti per la restaurazione e il mantenimento del Buono Stato. Conforme ai voti della onestà e della inesperienza, fu promulgata una legge per terminare entro quindici giorni tutte le cause civili. La frequenza in que’ giorni degli spergiuri, e i gravi danni che ne derivavano, giustificano forse un’altra legge che puniva il calunniatore, o il testimonio falso, colla medesima pena cui sarebbe soggiaciuto, se colpevole, l’accusato. Il legislatore può vedersi costretto dai disordinamenti