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dell'impero romano cap. lxiv. 333

signoreggiando l’Ellesponto, impediva la via a quanti soccorsi si spedivano a Costantinopoli dai Latini. Intanto che questo Principe sagrificava senza scrupolo alle sue passioni l’umanità e la giustizia, costringeva i suoi soldati ad osservare rigorosamente le regole della sobrietà e della decenza; si raccoglieano, e si vendeano tranquillamente le messi ne’ campi occupati da’ suoi eserciti. Sdegnato della negligenza e della corruttela che si erano introdotte nell’amministrazione della giustizia, adunò in una casa tutti i Giudici e Giureconsulti de’ suoi Stati, i quali non men paventavano che d’esservi bruciati vivi. Silenziosi tremavano que’ ministri; ma un buffone etiope osò far manifesta al Sovrano la cagion vera di un tale disordine; onde questi per togliere in avvenire alla venalità tutte le scuse, unì all’uffizio di Cadì una convenevole rendita1. Inorgoglito per sì fausti successi, e venutogli a schifo l’antico titolo di Emiro, ricevè la patente di Sultano dal Califfo, schiavo in Egitto sotto gli ordini de’ Mammalucchi2. Dominati dalla forza dell’opinione, i Turchi vincitori rendettero quest’ultimo e tenue omaggio alla prosapia Ab-

  1. Leunclavio, Annal. Turcici, p. 318, 319. La venalità dei Cadì è da lungo tempo un argomento di querele e di scandali. E se non vogliamo prestar fede ai nostri viaggiatori, possiamo crederlo ai medesimi Turchi (d’Herbelot, Bibliot. orient., p. 216, 217-229-230).
  2. Un tal fatto attestato nella Storia araba di Ben-Sciunà, nativo di Sorìa, e contemporaneo di Baiazetto (de Guignes, Hist. des Huns, t. IV, pag. 336), annulla la testimonianza di Saad Effendi, e di Cantemiro (pag. 14, 15), i quali pretendono che Otmano fosse stato innalzato alla dignità di Sultano.