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dell'impero romano cap. lxiv. 285


Il codice di leggi dettato da Gengis ai suoi sudditi, proteggea la pace domestica, e incoraggiava la guerra cogli stranieri. L’adulterio, l’assassinio, lo spergiuro, il furto di un cavallo, o di un bue, venivano puniti di morte, onde, comunque ferocissimi quegli uomini, fra di loro si comportavano con moderazione ed equità. L’elezione del Gran Kan fu serbata per l’avvenire ai Principi di sua famiglia, e ai Capi delle tribù. In questo codice si trovavano regolamenti per la caccia, fonti di diletti e di esistenza ad un campo di Tartari. Una nazione vincitrice avrebbe avuto per obbrobrio il sommettersi a servili lavori, de’ quali incaricati erano gli schiavi e gli stranieri; ed ogni lavoro, eccetto la professione dell’armi, a quelle genti pareva servile. Quanto alla disciplina e agli studj militari, vedeasi che l’esperienza di un provetto comandante ne avea instituite le regole. Armati d’archi, di scimitarre, e di mazze di ferro quelle milizie, venivano divise in corpi di cento, di mille, di diecimila. Ciascun uficiale o soldato facea garante la propria vita della sicurezza, o dell’onore de’ suoi compagni, e sembra suggerita dal genio della vittoria la legge che proibisce il far pace col nemico, o non vinto, o non ridotto all’atto di supplichevole. Ma soprattutto è meritevole de’ nostri elogi e della nostra ammirazione la religione di Gengis. Intanto che gli inquisitori della Fede cristiana sostenevano colla ferocia l’assurdità, un Barbaro, prevenendo le lezioni della filosofia, poneva colle sue leggi le basi di un puro deismo e di una perfetta tolleranza1. Per Gengis ora primo e solo ar-

  1. Scorgesi una singolare somiglianza tra il codice religioso