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il palazzo di Bisanzio, infallibilmente superiore per solidità, grandezza e magnificenza a quanto si conosceva allora, era l’ammirazione dei popoli o quella almen dei Latini1; ma il lavoro e i tesori di sette secoli non aveano creato altro che una gran mole irregolare: ogni edificio separato portava l’impronta del tempo in cui fu eretto e del gusto del fondatore, e l’angustia dello spazio potè talora dar motivo al monarca regnante di demolire, forse con segreta compiacenza, l’opera de’ predecessori. Il risparmio dell’imperator Teofilo non fu diretto al suo lusso privato, nè a cosa che potesse aumentare la pompa della sua Corte. Da un suo ambasciatore, ch’egli particolarmente amava, e che aveva fatto stordire gli stessi Abbassidi coll’orgoglio e colle liberalità, gli fu recato il modello d’un palazzo allora costrutto dal Califfo di Bagdad su le sponde del Tigri. Immediatamente fu imitato, e migliorato ancora: le nuove fabbriche di Teofilo2 furono corredate di giardini e di cinque chiese, fra le quali una era considere-

    p. 488-489, Brodaci, ap. Wechel) attribuito a Giuliano, ex-prefetto dell’Egitto, il palazzo di Bisanzio vinceva il Campidoglio, il palazzo di Pergamo, il bosco Ruffiniano (φαιδρον αγαλμα bel simulacro), il tempio di Adriano, Cizico, le piramidi, il faro ec. Il Brunch ha raccolto (Analect. graec., t. II, p. 493-510) settant’uno epigrammi di questo Giuliano, alcuni de’ quali sono frizzanti, ma questo non vi si trova.

  1. Constantinopolitanum palatium non pulchritudine solum, verum etiam fortitudine omnibus quas unquam videram munitionibus praestat (Luitpr., Hist., l. V, c. 9, p. 465).
  2. V. il continuatore anonimo di Teofane (p. 59-61-86), cui mi sono attenuto dietro l’estratto elegante e conciso del Le Beau (Hist. du Bas-Empire, t. XIV, p. 436-438).