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dell'impero romano cap. li. 309

veniva in qualche guisa specioso pei rapidi progressi che l’Islamismo avea fatti. Nel secolo susseguente, cinque vescovi, spediti dal patriarca Giacobita, si rendettero da Alessandria a Cairoan con una missione straordinaria per quivi raunare e rianimare i moribondi avanzi del cristianesimo1; ma basta l’intervento d’un prelato estero, separato dalla chiesa latina e nemico de’ cattolici, per indicare il deperimento e la dissoluzione della gerarchia affricana. Non erano più que’ tempi che i successori di San Cipriano, presedendo un Sinodo numeroso, potevano a forze eguali contendere contro l’ambizione del pontefice Romano. [A. D. 1053-1076] Nell’undecimo secolo dovette lo sventurato prete, che sedea su le rovine di Cartagine, implorare limosina e protezione dal Vaticano, e amaramente si dolse d’essere stato non solo ignominiosamente spogliato e battuto colle verghe da’ Saracini, ma di vedere contestata la sua autorità dai quattro suffraganei ch’erano le deboli colonne della sua sede episcopale. Abbiamo due lettere di Gregorio VII2, nelle quali si studia questo Papa d’alleviare i mali de’ Cattolici, e d’ammansare l’orgoglio d’un principe Moro. Assicura egli il soldano che il Dio da lui adorato è lo stesso che il suo, e soggiugne che ha speranza di trovarlo un giorno nel

  1. Bibl. orient., p. 66; Renaudot, Hist. patriar. Alex., p. 287, 288.
  2. V. le lettere de’ papi Leone IX (epist. 3), Gregorio VII (l. I, epist. 22, 23; l. III, epist. 19, 20, 21), e le annotazioni del Pagi (t. IV, A. D. 1053, n. 14; A. D. 1073, n. 13), il quale ha cercato il nome e il casato del principe Moro, con cui carteggiava sì urbanamente il più superbo de’ Papi.