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dell'impero romano cap. xlv. 295

ramento a lasciare che l’età, il sesso ed il grado confusi andassero in un generale macello. L’aiuto della fame finalmente gli porse il destro di eseguire il suo sanguinoso disegno; ma nel punto in cui Alboino passava la porta, il suo cavallo inciampò, cadde, e non potè levarsi. La compassione o la devozione mosse uno de’ suoi seguaci ad interpretare questo come un miracoloso segno dell’ira del cielo. Il conquistatore fermossi e s’impietosì, ripose la spada nella guaina, e placidamente riposando nel palazzo di Teodorico, significò alla moltitudine paventosa che dovesse vivere ed obbedire. Dilettato dal situamento della città, che più cara era fatta al suo orgoglio per la difficoltà dell’acquisto, il principe de’ Lombardi disdegnò le antiche glorie di Milano; e Pavia per alcuni secoli fu rispettata come la capitale di tutto il reame d’Italia1.

[A. D. 573] Il regno del fondatore fu splendido ma di breve durata. Prima che potesse regolare le sue nuove conquiste, Alboino perì vittima del tradimento domestico e della femminile vendetta. In un palazzo presso Verona, che non era stato eretto pei Barbari, egli banchettava i suoi compagni d’armi: l’ubbriachezza era la ricompensa del valore, ed il Re stesso si lasciò trarre dall’appetito o dalla vanità ad eccedere l’ordinaria misura della sua intemperanza. Poscia ch’ebbe vuotate molte capaci tazze di vin Retico o di Falerno, egli comandò che gli si recasse il cranio di Cunimondo,

  1. Veggansi i materiali raccolti da Paolo sulla conquista d’Italia (l. II c. 7-10, 12, 14, 25, 26, 27), l’eloquente racconto di Sigonio (t. II, De regno Italiae, l. I p. 13-19), e le esatte critiche Dissertazioni del Muratori (Annali d’Italia, t. V p. 164 180).