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dell'impero romano cap. xliv. 263

autori. Ma l’invenzione e l’uso frequente delle pene straordinarie, derivava dal desiderio di estendere e di occultare i progressi del dispotismo. Nella condanna degl’illustri Romani, il Senato sempre mostravasi presto a confondere, il potere giudiciale col legislativo, per secondare la volontà de’ suoi padroni. Spettava ai governatori il dovere di mantenere la pace della loro provincia, coll’arbitraria e rigorosa amministrazione della giustizia. La libertà di Roma si dilegua nell’estension dell’Impero, ed il malfattore Spagnuolo che invocò il privilegio di un Romano, fu sollevato per comando di Galba, sopra una croce più bella e più alta1. I rescritti, che partivan dal trono, decidevano di tempo in tempo le questioni che per la novità ed importanza loro parevano eccedere l’autorità e il discernimento di un proconsolo. La deportazione ed il taglio del capo erano riserbate per le persone di onorevol grado, i delinquenti più bassi venivano impiccati od arsi, o sepolti nelle miniere, od esposti alle fiere dell’anfiteatro. S’inseguivano i ladroni armati, e si estirpavano come nemici della società; si guardava l’abigeato come un capitale delitto2, ma il semplice furto

  1. Egli era un tutore che aveva avvelenato il suo pupillo. Quantunque il delitto fosse atroce, Svetonio (c. 9) colloca questo castigo nel numero delle azioni in cui Galba si mostrò acer, vehemens, et in delictis coercendis immodicus.
  2. Gli Abactores o Abigeatores che portavan via un cavallo, due cavalle od un paio di buoi, cinque porci o dieci capre incorrevano una pena capitale (Paolo, sentent. recept. l. IV tit. 18 p. 497, 498). Adriano (ad Concil. Boetic.) in ragione della frequenza del delinquere, più severo, condanna i rei ad gladium, ludi damnationem (Ulpiano, De officio proconsulis, l. VIII, in Collatione legum mosaicarum et romanarum, tit. 11 p. 235).