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dell'impero romano cap. xliv. 205

timo degli Antonini, si avea già sofferto di molte perdite: ed alcuni luminari della scuola o del Foro non erano più noti che ai curiosi per tradizione o per riferta. Trecento e cinquant’anni di disordine e di decadenza accelerarono il progresso della obblivione: e può giustamente presumersi che fra gli scritti che si accusa Giustiniano di aver negletti, molti più non si rinvenivano nelle biblioteche dell’Oriente1. Le copie di Papiniano o di Ulpiano, che il Riformatore aveva proscritte, più non furono giudicate degne di attenzione: le Dodici Tavole e l’Editto Pretoriano insensibilmente si smarrirono; ed i monumenti dell’antica Roma furono trascurati e distrutti dall’invidia e dall’ignoranza de’ Greci. Persino le Pandette medesime con difficoltà e pericolo scamparono dal naufragio comune, e la critica ha pronunziato che tutte le edizioni e tutti i codici dell’Occidente derivano da un solo originale2. Esso fu trascritto in Costantinopoli sul princi-

  1. Pomponio (Pandect. l. 1 tit. 2 leg. 2) dice che di Mucio, Bruto e Manilio che sono i tre fondatori della scienza delle leggi civili, extant volumina, scripta Manilii monumenta; di alcuni giureconsulti della repubblica, haec versantur eorum scripta inter manus hominum. Otto dei saggi legisti del secolo d’Augusto furono ridotti ad un compendium: di Cascellio, scripta non extant sed unus liber ecc.; di Trebazio, minus frequentantur; di Tuberone, libri parum grati sunt. Parecchie citazioni delle Pandette si dicono ricavate dai libri che Triboniano non ha mai veduti; e dal settimo al tredicesimo secolo di Roma l’apparente erudizione dei moderni dipendè mai sempre dalle cognizioni e dalla veracità de’ loro predecessori.
  2. Si dà per certo che tutte le edizioni e tutti i manoscritti in parecchi luoghi replicano gli errori de’ copisti e le trasposizioni di alcuni fogli che si rinvengono nelle Pandette