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dell'impero romano cap. xliv. 187

Berito umilmente si contentavano di ripetere le lezioni dei loro più illuminati predecessori. Dai tardi avanzamenti e dalla rapida declinazione di questi studi legali, si può inferire che essi ricerchino uno stato di pace e di raffinamento sociale. Dalla moltitudine de’ luminosi legulei che riempiono lo spazio di mezzo, si chiarisce che si può attendere a tali studi, e comporre somiglianti opere, con una dose comune di giudizio, di sperienza e d’industria. Il genio di Cicerone e di Virgilio più manifesto si fece a misura che ogni nuova età si mostrò incapace di produrne un simile od un secondo: ma i più eminenti maestri di giurisprudenza erano certi di lasciare discepoli, che gli uguaglierebbero o supererebbero in merito ed in celebrità.

Nel settimo secolo di Roma, l’alleanza della filosofia greca venne ad ingentilire e perfezionare la giurisprudenza che grossolanamente si era adattata ai bisogni dei primi Romani. Gli Scevola s’erano formati mediante l’uso e l’esperienza; ma Servio Sulpizio fu il primo legista che stabilisse l’arte sua sopra una teorica certa e generale1. Egli applicò, qual infallibil regola, la logica di Aristotile e degli Stoici, al discernimento del vero e del falso; ridusse a generali principj i casi particolari, e diffuse sopra la massa informe la luce dell’ordine e dell’eloquenza. Cicerone, suo contemporaneo ed amico, non cercò il nome di

  1. Sull’arte o scienza della giurisprudenza, Crasso, o piuttosto Cicerone (De oratore, 1, 41, 42) propone una idea che Antonio, il quale era fornito di naturale eloquenza, ma di poca istruzione, affetta (1, 58) di porre in ridicolo. Quest’idea venne in parte effettuata da Servio Sulpicio (in Bruto, c. 41) che Gravina nel suo classico latino loda con elegante varietà (p. 60).