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dell'impero romano cap. xliii. 121

di una semplice zuffa, essi trassero un augurio di successo felice, e videro con piacere il coraggio di cinquanta arcieri che difesero una piccola altura contro tre successivi attacchi della cavalleria de’ Goti. Gli eserciti in distanza di non più di due tiri d’arco, consumarono la mattina nella terribile aspettativa della tenzone, ed i Romani presero qualche necessario cibo, senza trarsi la corazza dal busto, o torre la briglia ai cavalli. Narsete aspettava che fosse primo ad assalire il nemico; ma Totila differì l’attacco in sino ch’ebbe ricevuto l’ultimo rinforzo di duemila Goti. Il Re, intanto che traeva in lungo le ore medianti inutili pratiche di accordo, mostrò in un angusto spazio la forza e l’agilità di un guerriero; ricche d’oro erano le sue armi: la purpurea sua bandiera ondeggiava all’aure: egli vibrò in alto la lancia, l’afferrò colla destra, la trapassò alla sinistra; si rovesciò indietro, si ricompose sulle staffe, e maneggiò un ardente corsiero in tutti i passi ed in tutte le evoluzioni della scuola equestre. Come fu giunto il rinforzo, egli ritirossi nella sua tenda, prese il vestimento e le armi di un semplice soldato, e diede il segnale della battaglia. La prima linea di cavalli si trasse innanzi con più coraggio che prudenza, e lasciò dietro di sè la fanteria della seconda linea. Essi furono ben presto impegnati tra le corna di una mezza luna, in cui a poco a poco eransi piegate le ali del nimico, e furono assaliti per ogni banda dai tiri di quattromila arcieri. Il loro ardore ed anche lo estremo in cui erano, li trasse a sostenere un disuguale conflitto da presso, in cui non potevano valersi che della lancia contro un nemico che sapeva egualmente maneggiar bene tutte le armi. Una generosa emulazione infiammò i Romani, ed i loro