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dell'impero romano cap. xxxvii. 43

finati all’estremità della terra, nelle oscure e gelate regioni del Norte1.

Il Cristianesimo, che apri a’ Barbari le porte del Cielo, introdusse un gran cangiamento nella morale e politica lor condizione. Riceverono essi nell’istesso tempo l’uso delle lettere, così essenziale per una religione, le cui dottrine si contengono in un libro sacro; e mentre studiavano la divina verità, i loro spiriti appoco appoco si estesero nella distante veduta dell’istoria, della natura, delle arti e della società. La traduzione della Scrittura nella nativa lor lingua, che aveva facilitato la lor conversione, doveva eccitare nel loro Clero la curiosità di leggere il testo originale, d’intendere la sacra liturgìa della Chiesa, e di esaminare negli scritti de’ Padri la catena della tradizione ecclesiastica. Questi vantaggi spirituali si trovavano nelle lingue greca e latina, che contenevano gl’inestimabili Monumenti dell’antico sapere. Le immortali produzioni di Virgilio, di Cicerone e di Livio, che potevan gustarsi da’ Barbari cristiani mantennero un tacito commercio fra il regno d’Augusto, ed i tempi di Clodoveo e di Carlo Magno. L’emulazione degli uomini fu incorraggita dalla rimembranza d’uno stato più perfetto; e si tenne segretamente viva la fiamma della scienza per riscaldare ed illuminare l’età matura del Mondo occidentale. Nel più corrotto stato del Cristianesimo, i Barbari potevano apprender la giustizia dalla Legge, e la misericordia dall’Evan-

  1. La spada di Carlo Magno accrebbe forza all’argomento: ma quando Daniele scrisse questa lettera (an. 725), i Maomettani, che regnavano dall’India fino alla Spagna, potevano ritorcerlo contro i Cristiani.