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che sempre cresce a misura della nostra sommissione?„ Essi l’informarono, che Epifanio, Vescovo di Pavia1, univa la saviezza del serpente coll’innocenza della colomba, e sembrava che confidassero che l’eloquenza di tale ambasciatore sarebbe prevalsa all’opposizione più forte dell’interesse, o della passione. Fu approvata la raccomandazione loro, ed Epifanio, prendendo l’umano ufizio di mediatore, si portò senza indugio a Roma, dove fu ricevuto con gli onori dovuti al suo merito ed alla sua riputazione. Può facilmente supporsi l’orazione d’un Vescovo in favor della pace: dimostrò egli, che in qualunque possibile circostanza il perdono delle ingiurie è sempre un atto di misericordia, o di magnanimità o di prudenza, ed ammonì seriamente l’Imperatore ad evitare una contesa con un fiero Barbaro, che avrebbe potuto esser fatale a se stesso, e che doveva esser rovinosa pei suoi Stati. Antemio riconobbe la verità delle sue massime, ma sentiva con alto dispiacere e sdegno la condotta di Ricimero; e la passione diede eloquenza ed energia al suo discorso. „Quali favori (esclamò egli ardentemente) abbiamo noi ricusato a quest’ingrato? Quali torti non abbiamo sofferti? Senza riguardo alla maestà della porpora, diedi la mia figlia ad un Goto, sacrificai il mio proprio sangue alla salvezza della Repubblica. La liberalità, che avrebbe do-

  1. Epifanio tenne per trent’anni il Vescovato di Pavia, dall’anno 467 al 497; (Vedi Tillemont Mem. Eccl. T. XVI. p. 788). La posterità non avrebbe conosciuto nè il nome nè le azioni di esso, qualora Ennodio, uno de’ suoi successori, non ne avesse scritto la vita (Sirmondo Oper. Tom. 1. p. 1647, 1692), in cui lo rappresenta come uno degli uomini più grandi di quel tempo.