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dell'impero romano cap. xxxvi. 523

vione. Quando fu quasi consumata la sua nave, che egli aveva bravamente difesa, si gettò armato nel mare, sdegnosamente ricusò la stima e la pietà di Genso, figlio di Genserico, che lo stimolava ad accettare un onorevol soccorso, e si sommerse nelle onde, gridando coll’ultimo suo respiro, ch’egli non sarebbe mai caduto vivo nelle mani di quegli empj cani. Basilisco, ch’era in un posto molto lontano dal pericolo, mosso da uno spirito ben differente, vergognosamente fuggì al principio della mischia, tornò a Costantinopoli con la perdita di più della metà delle navi e dell’esercito, e si riparò nel santuario di S. Sofia, finattantochè la Sorella non gli ebbe ottenuto dallo sdegnato Imperatore, con le lacrime e con le preghiere, il perdono. Eraclio si ritirò nel deserto; Marcellino andò in Sicilia, dove fu assassinato, forse ad istigazione di Ricimero, da uno de’ propri suoi capitani; ed il Re de’ Vandali dichiarò la sua maraviglia e compiacenza, che i Romani medesimi avessero tolto dal Mondo i suoi più formidabili avversari1. L’esito infelice di questa grande spedizione fece sì che Genserico diventò di nuovo il tiranno del mare: le coste dell’Italia, della Grecia e dell’Asia si trovarono di nuovo esposte alla sua vendetta ed avarizia; tornarono alla sua ubbidienza Tripoli e la Sardegna; aggiunse la Sicilia al numero delle sue Province; e prima di morire, giunto al colmo degli anni e della gloria, vide l’ultima estinzione dell’Impero dell’Occidente2.

  1. Damascio (in vit. Isidor. ap. Phot. 1048). Paragonando fra loro le tre brevi Croniche di que’ tempi, si vedrà, che Marcellino aveva combattuto vicino a Cartagine, e che fu ucciso in Sicilia.
  2. Quanto alla guerra Affricana vedasi Procopio (de bell.