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dell'impero romano cap. xxxvi. 481

ed il rispettoso silenzio, che vi si osserva, non è interrotto che da una grave ed istruttiva conversazione. Dopo desinare, Teodorico talvolta prende un poco di riposo; e tosto che si sveglia, chiede la tavola e i dadi, incoraggisce i suoi amici a dimenticare la maestà reale, e si compiace quando essi liberamente esprimono le passioni, che s’eccitano dagli accidenti del giuoco. In quest’esercizio, che esso ama come un’immagine della guerra, alternativamente fa prova di ardore, di abilità, di pazienza e di buon umore. Ride, se perde; ed è modesto e tace, se vince. Pure, non ostante quest’apparente indifferenza, i suoi cortigiani prendono i momenti della vittoria per chiedere qualche favore; ed io stesso, nelle mie conversazioni col Re, ho ottenuto qualche vantaggio dalle mie perdite1. Circa l’ora nona (alle tre dopo mezzo giorno) si riprende il corso degli affari, e dura di continuo fin dopo il tramontar del sole, ed allora il segno della cena reale serve per licenziare la stanca folla de’ supplichevoli e de litiganti. Alla cena, ch’è molto famigliare, sono ammessi talvolta de’ buffoni e de’ pantomimi per divertire, non per offendere la compagnia co’ ridicoli loro detti; ma sono rigorosamente bandite le cantatrici, e la musica molle ed effeminata, essendo solo graditi agli orecchi di Teodorico que’ suoni marziali, ch’eccitano lo spirito ad operar valorosamente. Ei si alza da tavola; e sono

  1. Tunc etiam ego aliquid obsecraturus feliciter vincor, et mihi tabula perit, ut causa salvetur. Sidonio d’Alvergna non era suddito di Teodorico; ma potè forse trovarsi impegnato a chieder giustizia o favore alla Corte di Tolosa.