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dell'impero romano cap. xxxv. 445

carono a’ cittadini l’intrepido loro coraggio; e questi si rammentavano tuttavia la gloriosa ad efficace resistenza, che i loro antenati avean fatto ad un feroce inesorabile Barbaro, che disonorò la maestà della porpora Romana. Si consumaron tre mesi senza effetto nell’assedio d’Aquileia, finattantochè la mancanza delle provvisioni, ed i clamori dell’esercito costrinsero Attila ad abbandonar quell’impresa, ed a comandare con ripugnanza, che le truppe, nella seguente mattina, levasser le tende, ed incominciassero a ritirarsi. Ma mentre cavalcava intorno alle mura pensoso, tristo e sconcertato, osservò una cicogna, che preparavasi a lasciare il suo nido, ch’era in una delle torri della città, ed a fuggire con la piccola sua famiglia verso la campagna. Ei profittò, con la pronta penetrazione d’un Politico, di questo insignificante avvenimento che il caso aveva offerto alla superstizione; ed esclamò in alto ed allegro tuono, che un uccello così domestico, e sì costantemente attaccato alla società umana non avrebbe mai abbandonato le sue antiche sedi, qualora quelle torri non fossero state condannate ad un’imminente ruina e solitudine1. Il favorevole augurio inspirò negli Unni la sicurezza della vittoria; fu rinnovato e proseguito l’assedio con nuovo vigore; si fece una larga breccia in quella parte delle mura, da cui la cicogna aveva preso la fuga; gli Unni salirono all’assalto con irresistibil furore; e la seguente gene-

  1. Si racconta la medesima storia da Giornandes, e da Procopio (de Bell. Vand. l. 1 c. 4 p. 187, 188); e non è facile il decidere quale de’ due sia l’originale. Ma l’Istorico Greco è caduto in un errore inescusabile nel porre l’assedio d’Aquileia dopo la morte d’Ezio.