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dell'impero romano cap. xxix. 37

sinistro dei quali invece di scudo non era difeso che da un mantello; che, appena scagliato aveano con la destra il lor giavelotto, restavano totalmente disarmati; ed i cui cavalli non erano mai stati ammaestrati a soffrir l’impaccio della briglia, o ad obbedirne la guida. Egli fermò il suo campo di cinquemila veterani in faccia ad un superiore nemico, e dopo la dilazione di tre giorni diede il segno di una generale battaglia1. Avanzandosi Mascezel sulla fronte con belle offerte di perdono e di pace, incontrò uno dei primi che portava lo stendardo Affricano, e ricusando questo di cedere, gli tagliò il braccio con la sua spada. Cadde a quel colpo insieme col braccio l’insegna; e subito fu replicato da tutte le bandiere della fila quel supposto atto di sommissione. A questo segno le disaffezionate coorti proclamarono il nome del legittimo loro Sovrano; i Barbari, sorpresi per la diserzione dei Romani loro alleati, si dispersero, secondo il loro costume, in una tumultuaria fuga; e Mascezel ottenne l’onore di una facile e quasi non sanguinosa vittoria2. Il tiranno dal campo di battaglia fuggì al lido del mare; e si gettò in un piccol vascello con la speranza di giugner sicuro a qualche amico porto dell’Impero Orientale; ma l’ostinazione del vento lo ri-

  1. S. Ambrogio, che era morto circa un anno avanti, rivelò in una visione il tempo ed il luogo della vittoria. Di poi Mascezel raccontò il suo sogno a Paolino, scrittore originale della vita del Santo, dal quale potè facilmente passare tal notizia ad Orosio.
  2. Zosimo (l. V. p. 303) suppone un ostinato combattimento; ma la narrazione d’Orosio par che occulti un fatto reale sotto la maschera d’un miracolo.