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dell'impero romano cap. xxxiv. 393

esercitato la sua abilità in impieghi civili e militari, accettò con ripugnanza l’incomoda e forse pericolosa commissione di riconciliare il torbido spirito del Re degli Unni. L’istorico Prisco1 suo amico prese l’opportunità d’osservare il Barbaro Eroe nelle pacifiche e domestiche azioni della vita; ma il segreto dell’ambasceria (fatale e colpevol segreto) non fu affidato che all’interprete Vigilio. Nell’istesso tempo tornarono da Costantinopoli al campo Reale gli ultimi due Ambasciatori degli Unni, Oreste nobile suddito della Pannonia, ed Edecone valente Capitano della Tribù degli Scirri. Gli oscuri lor nomi furono in seguito illustrati dalla straordinaria fortuna e contrasto dei loro figli: i due servitori d’Attila divennero padri dell’ultimo Imperadore dell’Occidente, e del primo Re barbaro d’Italia.

[A. 448] Gli Ambasciatori, che erano seguitati da un numeroso treno di uomini e di cavalli, fecero la prima loro fermata in Sardica alla distanza di trecento cinquanta miglia o di tredici giorni di cammino da Costantinopoli. Siccome i residui di Sardica erano tuttavia compresi dentro i limiti dell’Impero, toccava ai Romani ad esercitare gli ufizi dell’ospitalità. Essi provvidero coll’aiuto dei Provinciali un sufficiente numero di bovi e di pecore, ed invitarono gli Unni ad una

    la sua morte dispiacque ai Selvaggi dell’Etiopia, dei quali esso avea represso le scorrerie. Vedi Prisco p. 40, 41.

  1. Prisco era nativo di Panium nella Tracia, e meritò per la sua eloquenza un onorevole posto fra’ Sofisti di quel tempo. La sua storia Bizantina, che appartiene ai propri suoi tempi, era contenuta in sette libri. Vedi Fabricio, Bibl. Graec. VI, p. 235, 236. Nonostante il caritatevol giudizio dei Critici, io sospetto, che Prisco fosse Pagano.