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dell'impero romano cap. xxxiv. 385

suscettibili d’un raffinato sistema d’oppressione; e gli sforzi del coraggio e della diligenza venivano spesso ricompensati col dono della libertà. All’istorico Prisco, l’ambasceria del quale è una sorgente di curiosa istruzione, avvicinossi nel campo d’Attila uno straniero, che lo salutò in lingua Greca, ma all’abito e alla figura sembrava un ricco Scita. Nell’assedio di Viminiaco esso aveva perduto, secondo il racconto fattone da lui medesimo, i suoi beni e la libertà: era divenuto schiavo d’Onegesio; ma i suoi fedeli servigi contro i Romani e gli Acatziri l’avevano a grado a grado inalzato alla condizione de’ nazionali Unni, ai quali era attaccato per mezzo de’ vincoli domestici di una seconda moglie e di varj figli. Le spoglie della guerra avevan restaurato ed accresciuto il privato suo patrimonio; egli era ammesso alla tavola dell’antico suo padrone: e l’apostata Greco benediceva l’ora della sua schiavitù, mentre gli aveva procurato un indipendente e felice stato, ch’ei godeva mediante l’onorevole titolo del servizio militare. Questa riflessione fece naturalmente nascere una disputa sopra i vantaggi e i difetti del governo Romano, che fu severamente attaccato dall’Apostata, e difeso da Prisco in una lunga e debole declamazione. Il liberto d’Onegesio espose con veri e vivaci colori i vizi del decadente Impero, de’ quali esso era stato sì lungamente la vittima, cioè la crudele assurdità de’ Principi Romani, ch’erano in-

    , dice Tacito de’ Germani, non disciplina et severitate, sed impetu et ira, ut inimicum, nisi quod impune. De morib. Germanor. c. 15. Gli Eruli, che erano sudditi d’Attila, s’arrogavano ed esercitavano il potere di vita e di morte su’ loro schiavi. Se ne veda un notabil esempio nel secondo libro di Agatia.