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dell'impero romano cap. xxxiv. 371

devozione o dell’adulazione, che non potevano ardire di mirare con occhio fisso la divina maestà del Re degli Unni1. Bleda suo fratello, che regnava sopra una parte considerabile della nazione, fu costretto a cedergli lo scettro e la vita. Pure anche quest’atto crudele fu attribuito ad un soprannaturale impulso; ed il vigore, con cui Attila maneggiava la spada di Marte, convinse il Mondo, ch’essa era stata riservata solo per l’invincibil suo braccio2. Ma l’estensione del suo Impero somministra l’unica prova, che ci resti, del numero e dell’importanza delle sue vittorie; ed il Monarca Scita, per quanto ignorante si fosse del valor della scienza e della filosofia, potrebbe forse dolersi che gl’imperiti suoi sudditi fossero privi dell’arte, che avrebbe potuto perpetuar la memoria delle sue imprese.

Se si fosse tirata una linea di separazione fra gli inciviliti e selvaggi climi del globo, fra gli abitanti della città, che coltivavan la terra, ed i cacciatori e pastori, che abitavano nelle tende, Attila avrebbe potuto aspirare al titolo di supremo ed unico Monarca de’ Barbari3. Egli solo, fra’ conquistatori de’ tempi an-

  1. Prisco (p. 55). Anche un eroe più civilizzato, lo stesso Augusto, si compiaceva se la persona, sulla quale fissava gli occhi, pareva inabile a sostenere il divino loro splendore. Sueton., in August. c. 79.
  2. Il Conte di Buat (Hist. des Peuples de l’Europe Tom. VII. p. 428, 429) tenta di purgare Attila dall’uccisione del fratello; ed è quasi inclinato il rigettare la concorde testimonianza di Giornandes, e delle Croniche di quel tempo.
  3. Fortissimarum gentium dominus, qui inaudita ante se potentia solus Scythica et Germanica regna possedit.