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dell'impero romano cap. xxxiii. 339

rivale con una sottile cospirazione, che ad una debole donna, e ad un bravo soldato non poteva facilmente cadere in pensiero. Segretamente persuase Placidia1 di richiamar [A. 427] Bonifazio dal governo dell’Affrica; e segretamente avvisò Bonifazio di disubbidire all’Imperiale chiamata: all’uno rappresentò quell’ordine come una sentenza di morte; all’altra espose il rifiuto come un segno di ribellione; e quando il credulo e non sospettoso Conte ebbe armato la Provincia in sua difesa, Ezio applaudì la sua sagacità nell’aver preveduta la rivolta, che aveva eccitato la propria perfidia. Un moderato esame de’ veri motivi di Bonifazio avrebbe restituito un servo fedele al suo dovere ed alla Repubblica; ma le arti d’Ezio continuavano sempre a tradire, ed a fomentare l’incendio, ed il Conte fu costretto dalla persecuzione ad abbracciare i più disperati consigli. Il buon successo, con cui evitò o rispinse i primi attacchi, non poteva inspirargli una vana speranza di potere, alla testa di alcuni sparsi e disordinati Affricani, opporsi alle forze regolate dell’Occidente, comandate da un rivale, di cui egli non poteva disprezzare il militare carattere. Dopo qualche dubbiezza, che fu l’ultimo contrasto della prudenza e della fedeltà, Bonifazio spedì un fedele amico alla Corte o piuttosto al campo di Gonderico Re de’ Vandali, con

  1. Procopio (de Bell. Vandal. l. 1. c. 3. p. 182, 186) riporta la frode d’Ezio, la rivolta di Bonifazio e la perdita dell’Affrica. Quest’aneddoto, ch’è sostenuto dalla testimonianza di alcuni contemporanei (Vedi Ruinart, Hist. Persecut. Vandal. p. 420, 421) sembra coerente alla pratica delle antiche e moderne Corti, e naturalmente si sarebbe reso palese dal pentimento di Bonifazio.