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dell'impero romano cap. xxxi. 135

dorati ombrelli di seta, se un raggio di sole penetrasse per qualche non osservato impercettibile spiraglio, deplorano gl’intollerabili loro travagli, e si dolgono con affettate espressioni di non esser nati nelle terre de’ Cimmerj1, regioni di eterne tenebre. In questi viaggi, che si fanno nelle proprie terre2, tutto il corpo della famiglia marcia insieme col padrone. In quella guisa che dalla perizia dei capitani militari si dispongono la cavalleria e l’infanteria, le truppe di grave e di leggiera armatura, la vanguardia e la retroguardia; così gli uffiziali domestici, che portano in mano una verga in segno d’autorità, distribuiscono e mettono in ordine il numeroso seguito di schiavi e di famigliari. Il bagaglio e la guardaroba sono alla fronte, e dopo segue immediatamente una moltitudine di cuochi e di ministri inferiori, impiegati nel servizio della cucina e della tavola. Il corpo di mezzo è composto d’una promiscua folla di schiavi accresciuta

  1. L’espressione di tenebre Cimmerie fu presa in origine dalla descrizione d’Omero (nel lib. XI. dell’Odissea), applicandola esso ad un remoto e favoloso paese sui lidi dell’Oceano. (Vedi Erasmi Adag. nelle sue opere Tom. 2. p. 593. ediz. di Leida).
  2. Possiamo rilevare da Seneca (epist. 123) tre curiose circostanze relativamente ai viaggi de’ Romani. 1. Essi eran preceduti da una truppa di Cavalleggieri di Numidia, che con un nuvolo di polvere annunziavano l’avvicinamento di un grand’uomo; 2. I loro muli da bagaglio non solamente trasportavano i vasi preziosi, ma anche i fragili vasellami di cristallo e di murra, sotto il qual nome è quasi provato dal dotto Francese Traduttore di Seneca (T. III. p. 403, 422) che intendevasi la porcellana della China e del Giappone; 3. i be’ volti de’ giovani schiavi eran coperti d’una crosta o unzione fatta ad arte per difenderli dagli effetti del sole e del gelo.