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dell'impero romano cap. xxix. 7

fece della debolezza d’Arcadio o d’Onorio, e le replicate calamità del lor Regno non furon bastanti a cancellare le profonde ed antiche impressioni della fedeltà. I sudditi Romani, che sempre venerarono le persone, o piuttosto i nomi dei loro Principi, riguardarono con uguale abborrimento i ribelli, che si opposero all’autorità del Trono, ed i ministri che ne abusarono.

[A. 386-395] Teodosio aveva oscurato la gloria del suo Regno coll’elevazion di Ruffino, odioso favorito, che in un secolo di civile e religiosa fazione ha meritato da tutte le parti l’imputazione d’ogni delitto. Il forte impulso dell’ambizione e dell’avarizia1 aveva tratto Ruffino ad abbandonare il suo paese natìo, oscuro angolo della Gallia2, per avanzare la sua fortuna nella Capital dell’Oriente: il talento di un’ardita e facile elocuzione3 l’abilitò a riuscire nella lucrosa profession della legge; ed il buon successo, ch’egli ebbe in tal professione, lo fece regolarmente passare agl’impieghi più onorevoli ed importanti dello Stato. Fu egli a grado a grado innalzato fino al posto di Maestro degli Uffizi.

  1. Aletto, invidiosa della pubblica felicità, convoca un concilio infernale, Megera le raccomanda Ruffino suo allievo e l’eccita a far del male ec. Ma v’è tanta differenza fra la furia di Claudiano e quella di Virgilio, quanta n’è fra i caratteri di Turno e di Ruffino.
  2. Egli è evidente (Tillemont Hist. des Emp. Tom. V. p. 770), quantunque il de Marca si vergogni di tal compatriota, che Ruffino era nato in Elusa, Metropoli della Novempopulania, ora piccolo villaggio della Guascogna: Danville Notic. de l’anc. Gaul. p. 289.
  3. Filostorg. l. XI, c. III. colle Dissertazioni del Gotofred. p. 440.