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dell'impero romano cap. xxviii. 381

nere la tranquillità e l’ordine solito. Replicò il vittorioso soldato i suoi colpi: fu rovesciato e fatto in pezzi l’enorme idolo; e le membra di Serapide furono ignominiosamente trascinate per le strade di Alessandria. Si bruciò nell’anfiteatro, in mezzo ai clamori della plebe, il suo lacero corpo, e molti attribuirono la lor conversione a questa scoperta dell’impotenza della loro tutelare Divinità. Le popolari specie di religione, che propongono dei materiali e visibili oggetti di culto, hanno il vantaggio di adattarsi e famigliarizzarsi ai sensi degli uomini; ma questo vantaggio è contrabbilanciato da’ vari ed inevitabili accidenti, a’ quali s’espone la fede dell’idolatra. Appena è possibile ch’esso in ogni disposizione di mente conservi l’implicita sua riverenza per gl’idoli o le reliquie, il cui semplice occhio o la mano profana non son capaci di distinguere dalle più comuni produzioni della natura o dell’arte; e se nel tempo del pericolo la segreta e miracolosa loro virtù non opera per la propria conservazione, il devoto sprezza le vane apologie de’ suoi sacerdoti, e giustamente deride l’oggetto e la follia del superstizioso suo attaccamento. Dopo la caduta di Serapide, i Pagani tuttavia nutrivano speranza, che il Nilo avrebbe negato l’annuo suo tributo agli empi dominatori dell’Egitto; e lo straordinario indugio dell’inondazione pareva che indicasse il corruccio del Nume. Ma tale dilazione fu tosto compensata dal rapido gonfiamento delle acque. Ad un tratto queste s’alzarono a tal insolita altezza, che servì a consolare il malcontento partito con la piacevole speranza d’un diluvio, finattantochè il pacifico fiume di nuovo si ritirò al ben noto e fertilizzante livello di sedici cubiti, o di circa trenta piedi Inglesi1.

  1. Sozomeno lib. VII. c. 20. Io ho supplito la misura.