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dell’impero romano cap. xlix 281

all’impudente ed inumano Leone, molto più reo di un eretico, gli raccomanda la pace, il silenzio, ed una sommissione implicita, alle sue guide spirituali di Costantinopoli e di Roma. Fissa i limiti della potenza civile e della potenza ecclesiastica; sottomette il corpo alla prima, l’anima alla seconda; stabilisce, che la spada della giustizia è nelle mani del magistrato; che una spada più formidabile, quella della scomunica, appartiene al clero; che, nell’esercizio di questa divina commissione, non risparmierà un figlio zelante il padre colpevole; che il successore di San Pietro ha il diritto di gastigare i Re del Mondo. „O tiranno, soggiunse, tu ci assali con mano voluttuosa ed armata: noi, inermi ed ignudi, non possiamo ricorrere che a Gesù Cristo; principe dell’esercito celeste, e supplicarlo che ti mandi un demonio per la distruzion del tuo corpo e la salvezza dell’anima: spedirò i miei ordini a Roma, tu osi dichiarare con folle arroganza; farò in pezzi le Immagini di S. Pietro; e Gregorio, come Martino suo predecessore, sarà condotto, carico di catene, al piè del trono imperiale a ricevere la condanna dell’esilio. Ah! Dio volesse che mi fosse lecito camminare sull’orme di San Martino! Ma serva d’esempio il fatto di Costanzo ai persecutori della Chiesa. Condannato questo tiranno giustamente dai Vescovi della Sicilia, tutto coperto di peccati, morì dalla mano d’uno de’ suoi servi: questo sant’uomo è ancora adorato dai popoli della Scizia, fra i quali terminò l’esilio e la vita. Ma noi dobbiamo vivere per l’edificazione e il sostegno dei Fedeli; nè siamo ridotti ad avventurare la nostra sicurezza in una battaglia. Per quanto sii incapace di difendere la tua città di Roma, la situazione di lei