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dell'impero romano cap. xx 69

magoghi d’Atene ed i Tribuni di Roma: non s’era introdotto ne’ templi dell’antichità il costume di predicare, che par che formi una parte considerabile della devozione Cristiana, e le orecchie de’ Monarchi non erano mai state tocche dall’aspro suono della popolar eloquenza, finattanto che i pulpiti dell’Impero furon pieni di sacri Oratori, che godevano alcuni vantaggi incogniti a’ profani loro predecessori1. Agli argomenti ed alla rettorica del Tribuno immediatamente si opponevano con uguali armi abili e risoluti antagonisti; e la causa della verità e della ragione poteva trarre per accidente qualche vantaggio dal conflitto delle contrarie passioni. Il Vescovo o qualche distinto Prete, al quale aveva esso cautamente delegata la facoltà di predicare, parlava, senza rischio d’esser interrotto o contraddetto, ad una sommessa moltitudine, le cui menti erano già disposte e convinte dalle venerande ceremonie della religione. Era tanto stretta la subordinazione della Chiesa Cattolica, che nel tempo stesso potevan partire da cento pulpiti dell’Italia o dell’Egitto suoni concertati nella medesima forma, qualora essi fossero diretti2 dalla

  1. Vedi il Tomassino (Discipl. Eccles. Tom. II. lib. III. c. 83. p. 1761-1770) e il Bingamo (Antiq. Vol. I, l. XIV. c. 4. p. 688-717). Si risguardava la predicazione come l’uffizio più importante del Vescovo; ma qualche volta s’affidava questa funzione ad alcuni Preti, quali erano Crisostomo ed Agostino.
  2. La regina Elisabetta usava quest’espressione, e praticava quest’artifizio ogni volta che desiderava di preoccupar gli animi del popolo in favore di qualche passo straordinario del Governo. Il suo successore ebbe occasione di temere gli ostili effetti di questa musica, ed il figlio di lui ne provò il