Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano IV.djvu/311


dell'impero romano cap. xxiii 307

che tosto che avesse trionfato degli esterni nemici di Roma, si sarebbe tolta dal viso la molesta maschera della dissimulazione; che gli anfiteatri si sarebber veduti inondati del sangue di Eremiti e di Vescovi; e che i Cristiani, che avessero perseverato nella profession della fede, verrebbero privati dei comuni benefizi della natura e della società1. Ogni calunnia2, che ferir potesse la riputazione dell’Apostata veniva subito creduta dal timore e dall’odio de’ suoi avversari; ed i loro indiscreti clamori provocavano l’indole d’un Sovrano, ch’era loro dovere di rispettare, e loro interesse di addolcire. Continuavano in vero a protestare che le preghiere e le lagrime erano le uniche loro armi contro l’empio tiranno, il capo del quale rilasciavano alla giustizia del Cielo oltraggiato. Ma con torva risolutezza facean capire, che la lor sommissione non era più l’effetto della debolezza, e che nello stato imperfetto dell’umana virtù, la pazienza, che solo è fondata sopra le massime, potava esaurirsi dalla persecuzione. Non può determinarsi fino

  1. Gregorio (Orat. III. p. 93, 94, 95. Orat. IV. p. 114.) pretende di parlare secondo le informazioni avute dai confidenti di Giuliano, che Orosio (VII. 30) non potè avere veduto.
  2. Gregorio (Orat. III. p. 91.) accusa l’Apostata di segreti sacrifizi di fanciulli e di fanciulle, e positivamente afferma, che n’erano gettati i corpi nell’Oronte. Vedi Teodoreto lib. III. c. 26, 27 e l’equivoco candore dell’Ab. della Bleterie, Vie de Julien p. 351, 352. Pure la malizia dei contemporanei non potè imputare a Giuliano le truppe di Martiri, specialmente nell’Occidente, che il Baronio sì avidamente moltiplica, ed il Tillemont così debolmente rigetta (Mem. Eccles. Tom. VII. p. 1295-1315).